Una mostra nel quarantennale della morte di Sergio Ramelli, appartenente al Fronte della Gioventù ucciso il 29 aprile 1975 per mano di militanti di estrema sinistra, finanziata dall’amministrazione e proposta da Marcello Ruffo, leader veneto di Casapound e noto in città per le diverse aggressioni di cui si è reso protagonista (come nel marzo 2013, quando per festeggiare la laurea organizzò, una spedizione nei locali di Veronetta, alla ricerca di militanti antifasciste e antifascisti da affrontare, con tanto di lama) .
Questo non è altro che il tentativo di decontestualizzare i fatti che caratterizzano gli anni Sessanta e Settanta in Italia, riprendendo la retorica degli “opposti estremismi” e cercando in questo senso di oscurare una storia più complessa, non riducibile ad una parificazione delle parti in campo.
Tra la fine degli anni Sessanta e fino alla metà degli anni Settanta, l’Italia è stata attraversata da un’ondata di attentati dinamitardi. In particolare, secondo i calcoli dello storico Mimmo Franzinelli, gli attentati tra il 1969 e il 1974 sono attribuibili per l’85% a elementi di estrema destra. Alla violenza neofascista ha contribuito l’opera di depistaggio degli appartenenti a tutti i corpi di sicurezza dello Stato, come accerta un giudicato penale. L’azione neofascista è stata infatti supportata ai fini della cosiddetta strategia della tensione che, secondo le parole di Aldo Moro, aveva l’obiettivo «di rimettere l’Italia nei binari della “normalità” dopo le vicende del ’68 e del cosiddetto autunno caldo». La protesta sociale crescente doveva essere controllata e a tal scopo fu usata la violenza neofascista. Già nel 1966 uno studente, Paolo Rossi, morì a causa di un’aggressione da parte di studenti di estrema destra all’Università La Sapienza di Roma.
Voler commemorare l’uccisione di Sergio Ramelli, nel tentativo di assimilare violenza di destra e sinistra in un unico calderone, non è altro che un’azione politica che tende a sbiadire l’azione fascista (che fu legata a quella di diversi organi dello Stato). Da diversi anni si assiste alla rimozione di quelle componenti dalla memoria dell’Italia repubblicana, cercando di ricondurla alla mera azione dei gruppi di estrema sinistra. E’ infatti innegabile, ad esempio, che la scelta del 9 maggio – ricorrenza della morte di Aldo Moro – come data istituzionale in ricordo alle vittime di mafia e terrorismo, e non piuttosto il 12 Dicembre di Piazza Fontana e della strage di Stato, rappresenti una forma politica di rimozione della memoria. Se infatti la memoria delle giovani generazioni, per quanto riguarda gli esecutori delle maggiori stragi dell’Italia Repubblicana, è sbiadita e non riesce più a identificare correttamente l’area politica di riferimento (che viene facilmente invertita, facendo passare per attentatori gli anarchici o comunisti, piuttosto che i neofascisti) è proprio a causa della volontà mistificatoria che, come oggi a Verona, cerca di ricondurre la violenza di quegli anni ad un unico insieme a cui bisognerebbe opporsi acriticamente.
Non si vuole difendere l’assassinio politico di un militante di una parte politica opposta, ma smascherare l’ennesimo tentativo di cancellare la memoria storica, di non riconoscere le responsabilità di chi ha insanguinato le città, di nascondere, dietro quello che viene annunciato come l’occasione di un confronto, l’intento di ricordare un camerata.
GLI/LE ANTIFASCIST* NON RESTERANNO INDIFFERENTI ALLA COMMEMORAZIONE ISTITUZIONALE DI UN FASCISTA!
Kollettivo Autonomo Antifascista Verona